Di Bruno Marra
“Maradona c’ha miso ‘a mana soja!”. Il titolo più incisivo e rappresentativo, questa mattina, lo dà il popolo napoletano. Come spesso capita, voce ‘e popolo, voce ‘e Dio. E qui di Dio si parla, perché ieri è stata la prima volta che Diego Maradona si è preso e chiavi e il domicilio del San Paolo. Il suo Stadio che diventerà per sempre il suo Tempio.
La domenica della brava gente comincia nel pomeriggio, quando arriva la notizia che il Comune ha accelerato le pratiche della Resurrezione. “Stadio Diego Armando Maradona”. In quattro giorni le istituzioni fanno quello che la gente vorrebbe facesse sempre. Decidere e agire. “Quando ‘o vonn fa, lo fanno”, sussurrano nei vicoli. E così quando giunge la sera, la tavola è già imbandita. C’è Diego che guarda tutti dal maxischermo, c’è la squadra in mezzo al campo con la maglia dedicata a Lui, rispunta il numero 10 sottratto agli umani e consegnato agli Dei.
Lo speaker legge la lettera da brividi che la Società ha consegnato al cielo nella celebrazione del Mito. Poi si comincia. E dopo una mezzoretta il più piccolino, il figlio di Napoli, il Ninho 2.0, mette la palla a terra per tirare la punizione. In quei pantaloncini e in quelle scarpette ci sarebbe entrato alla precisione. E allora, visto che c’è, si accomoda, per significare a tutti che il battesimo può cominciare.
Lorenzo è il tramite, che di classe ne ha da vendere, ma stavolta ne prende un po’ in prestito dalla Leggenda. La palla va dove deve andare. Dove la porta il cuore.
Insigne corre con tutta la gioia possibile e mostra la maglia di Diego come una invocazione. Il Napoli poi batte la Roma la bellezza di 4-0. Ma nessuno porta più il conto. Perché il mondo si è fermato nel momento in cui è riapparso Diego. “Maradona c’ha miso ‘a mana soja”. Nello Stadio che da ieri è il suo Tempio in eterno.